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La terza sezione della Cassazione penale ha rinviato alle sezioni Unite il contrasto di giurisprudenza formatosi attorno alla rilevanza o meno dell’omissione di dati reddituali nell’autocertificazione con cui si chiede il reddito di cittadinanza, nel caso in cui tale omissione non ha determinato un’indebita percezione dello strumento di sostegno al reddito.
Le sezioni Unite penali dovranno chiarire se la “falsa” dichiarazione di per sé ininfluente sul diritto a percepire il reddito di cittadinanza abbia o meno rilevanza penale. Anche solo come tentativo di truffa ai danni dello Stato.

Con la sentenza n. 2588/2023 è stato ritenuto dirimente sciogliere tale oscillazione della giurisprudenza di legittimità anche proprio per decidere il ricorso esaminato. Nel caso concreto l’omissione riguardava la comproprietà di terreni con il proprio coniuge. E dove tale omissione non ha determinato l’accesso al beneficio a cui comunque il ricorrente aveva diritto.

Il contrasto
L’orientamento più “formalistico” fa scattare il reato di truffa ex articolo 640 del Codice penale e quello previsto dall’articolo 7 della legge Rdc dalla sola omissione o falsa indicazione dei presupposti di reddito che danno diritto al beneficio a prescindere se tale diritto sussista comunque in capo al richiedente il sostegno. Quindi una visione che si fonda sulla nozione di reato di pericolo senza bisogno che tale pericolo sia concreto, con conseguente indifferenza al fatto se l’erogazione di risorse statali fosse o meno un diritto effettivamente goduto indebitamente. Per tale orientamento quindi per la commissione del reato non è necessario che la condotta omissiva sia sorretta dal dolo specifico di percepire un vantaggio patrimoniale al quale non si avrebbe diritto in assenza della mendace autodichiarazione. In sintesi sarebbe sufficiente il dolo generico con cui si rappresenta non del tutto fedelmente la propria situazione economica. Tale impostazione si fonda applicandoper analogia le regole del gratuito patrocinio, dove il mendacio sulla propria situazione patrimoniale costituisce reato anche se in realtà non si supera la soglia di reddito che dà diritto all’assistenza legale gratuita nel processo.

Al contrario l’altro orientamento – che dalla lettura della sentenza sembra esser preferito dalla terza sezione della Cassazione penale – sostiene che il reato previsto dall’articolo 7 in caso di dichiarazione mendace espressamente richiede – in quanto citata dalla norma – la finalità dell'”indebita percezione del beneficio”. Il che richiederebbe per integrare il reato la coscienza di voler ottenere un indebito arricchimento che costituirebbe appunto il dolo specifico richiesto dalla legge.

 

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