La crisi economica e quella climatica, gli affitti esorbitanti e inavvicinabili, i prezzi delle case alle stelle, il potere d’acquisto diminuito drasticamente; i confronti sempre impietosi con gli stipendi di altri Paesi europei. E ancora: l’altissimo costo della vita, le pensioni che non arriveranno mai, lo stress al lavoro e i burnout, la scarsa attenzione delle aziende all’equilibrio vita-lavoro, i cervelli in fuga, l’ansia per gli standard performativi e i figli che non si fanno perché mancano i sussidi e i servizi di welfare.
Se sui social si seguono i cosiddetti nuovi media digitali, questi sono i temi che, come corsi e ricorsi narrativi, si avvicendano quotidianamente. Sono account para-giornalistici, nel senso che non fanno informazione ma divulgazione, proponendosi l’obiettivo di far sentire la voce delle giovani generazioni, accendendo fari sulla loro condizione e le loro necessità, e al contempo di renderle consapevoli ed educarle al mondo che le circonda e che le aspetta.
Sono numerosi, soprattutto su Instagram, e per parlare alla Gen Z e ai più giovani dei Millennial hanno scelto questo tono pericolosamente disfattista, additando come un meteorite in arrivo ogni malevola piega della società, del mondo del lavoro e della cultura contemporanea. A leggerle ogni giorno, il messaggio che se ne ricava è che non ce la puoi fare perché il mondo è tutto sbagliato, perché non ti dà occasioni e perché chi è venuto prima di te è stato un Attila che non permetterà mai più all’erba di crescere. E, quindi, a prescindere da qualsiasi sforzo tu possa mettere in campo per creartele quelle opportunità, avrai comunque un futuro peggiore, fatto per lo più di ingiustizia e iniquità.
Molto di quanto denunciato è vero o parzialmente vero, ma – salvo qualche eccezione – è portato all’attenzione degli utenti in modo talmente superficiale, allarmista e vittimista da rischiare di stroncare sul nascere qualsiasi ambizione di chi dovrebbe costruire la società degli anni avvenire. Anche perché è privo di contraltare.
Dall’altro lato, infatti, i media tradizionali – che possono contare su operatori professionisti, teoricamente in grado di interpretare e spiegare l’attualità – non sono riusciti ad aggiornare il proprio linguaggio: nonostante un’evoluzione obbligata che li ha portati online e sui social, continuano ad esprimersi in un modo che quegli stessi giovani non possono comprendere.
Sono quindi abbandonati alla mercé dell’inflazione narrativa costruita appositamente per il follow o per il like. Il media nativo digitale, infatti, ascolta la community per intercettarne abitudini, comportamenti e interessi, per poi generare contenuti che possano stimolare l’identificazione e, quindi, ottenere l’interazione sulla quale si basa il successo del profilo. In questo modo, il “sentire” giovanile di oggi assume la forma della profezia che si auto-avvera: il ragazzo tende a percepire il mondo come un nemico, l’account Instagram di cui si fida (perché parla la sua lingua) glielo conferma e quello è portato a radicare il pensiero e, probabilmente, finirà per crederci al punto da realizzarlo sotto forma di ansia diffusa o di inedia, in una sorta di determinismo (deresponsabilizzato) del fallimento. Soprattutto se non gli capita di inciampare in qualcun altro che gli dica il contrario, vale a dire che ogni generazione ha dovuto fare i conti con uno scenario in parte favorevole, in parte avverso, che i problemi li hanno dovuti risolvere un po’ tutti e, soprattutto, che si possono risolvere.
In questa mancata dialettica tra fonti di informazione nuove e tradizionali, nella rinuncia delle prime a virare verso un’impostazione più costruttiva e delle seconde di studiare una fattiva strategia per allargare l’audience, viene meno la possibilità di trasmettere una reale educazione. E così, finisce che chi è più vicino ai giovani, li soffoca; chi è più lontano, li abbandona a questo destino. Con il risultato che ce la farà soltanto chi avrà messo in campo una fatica doppia: quella che serve per raggiungere il risultato nel merito e quella necessaria per auto-motivarsi, non ascoltare i tanti che raccontano la missione come impossibile e andare oltre.
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